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Antonella Parente - Empatia, Installazione ambientale, Oratorio di Santo Stefano Protomartire, 2018 |
A
spasso per Palermo
di Flavia Matitti
Se
vuoi conoscere te stesso,
Guarda
in ogni angolo del mondo.
Se
vuoi conoscere il mondo,
Osserva
nel profondo di te stesso.
Rudolf Steiner, Decima conferenza,
Dornach, 9.11.1923
Camminare e conoscere sono attività intrecciate da sempre. L’idea che ci
sia un nesso tra il muoversi a piedi e lo sviluppo della conoscenza, intesa, a
seconda dei casi, come scoperta interiore, maturazione intellettuale o crescita
spirituale, ha trovato espressione soprattutto nella pratica universale del
pellegrinaggio, ma anche nella sua versione “moderna”, rappresentata dal
turismo. Sull’immaginario legato al camminare, inoltre, la scuola filosofica peripatetica
ha esercitato una grande influenza, diffondendo la tradizione che Aristotele tenesse
le sue lezioni passeggiando con gli allievi. L’idea dunque di un rapporto
stretto tra il deambulare, il pensare e l’apprendere ha radici antiche e, con
sfumature diverse (camminare, vagabondare, errare) è giunta fino a noi.
Secondo il filosofo e poeta americano Henry David Thoreau (1817-1862), autore
di una raccolta di pensieri intitolata significativamente Walking (1862), camminare (nei boschi) è un atto che favorisce la riflessione
su se stessi e la scoperta della Natura. Suona invece bellicoso, ma anche
vitalissimo, il motto coniato dai futuristi agli inizi del Novecento, «Marciare
non marcire», che è un’esaltazione del dinamismo contro la stasi passatista. Un
altro importante interprete del tema della promenade
è stato Walter Benjamin (1892-1940), grande maestro dell’arte della flânerie. E alla fine del secolo, quando la pratica del camminare è tornata
di grande attualità, il collettivo artistico Stalker ha riportato in auge il camminare quale strumento
estetico di conoscenza dello spazio, come racconta uno dei fondatori del gruppo,
Francesco Careri, nel suo saggio Walkscapes
(2006).
La tradizionale esperienza del camminare, unita al piacere della scoperta
e della conoscenza, ha caratterizzato anche il viaggio di studio compiuto a
Palermo, dal 16 al 18 giugno 2018, in occasione di Manifesta 12, da un gruppo
di studentesse e di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma, accompagnati
da Anna Maiorano, docente di Decorazione e da chi scrive, docente di Storia
dell’arte contemporanea.
Tutti noi, infatti, abbiamo potuto visitare le principali sedi di
Manifesta e altri importanti luoghi espositivi della città, compreso Palazzo
Riso, muovendoci esclusivamente a piedi, in una sorta di moderno cammino
«iniziatico», scortati da un autentico genius
loci, la palermitana Marilena Pecoraro, docente di Anatomia artistica
presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel corso di queste camminate
esplorative compiute per le vie di Palermo ed entro rigogliosi giardini, ci
siamo imbattuti, tra l’altro, in un’esortazione scritta con la vernice blu da
una mano anonima sul muro grigio e scrostato di una casa: «Sii felice.
T’insegneranno a non splendere e tu splendi, invece. Pasolini». Ci siamo
fotografati all’ombra dei meravigliosi ma vagamente inquietanti ficus del giardino di piazza Marina,
teatro un tempo di spietate esecuzioni, come ricordava Leonardo Sciascia a
proposito di questi stessi ficus ritratti
da Bruno Caruso, i quali sembrano trattenere coscienza del luogo e comunicare ancora
un che di demoniaco e di carnivoro. E abbiamo incontrato in vari angoli della
città l’enigmatica figura del Genio di Palermo, un vecchio barbuto che pare
nutrire al petto un serpente, per alcuni immagine dello straniero.
La dodicesima edizione di Manifesta, biennale di arte e
cultura contemporanea itinerante per l’Europa, si intitola, come è noto, Il Giardino Planetario. Coltivare la
coesistenza e affronta un tema suggerito dalla realtà stessa di Palermo,
città di snodo di molteplici flussi migratori, dagli antichi Fenici, Greci,
Arabi e Normanni fino ai recenti arrivi dal Nord Africa e dall’Asia. Una città
modellata dalle differenze e dalle contaminazioni che la biennale assume a
laboratorio di nuovi, possibili modelli di cittadinanza. In particolare l’Orto
Botanico, creato alla fine del Settecento, dove coesistono specie di piante
provenienti da ogni continente, è assunto a metafora della capacità di questa
città di aggregare le differenze.
La visita di Manifesta, comprendente
luoghi naturali e altri fortemente antropizzati, ha offerto agli studenti molteplici
spunti di riflessione incentrati sui temi dei migranti, del viaggio, dell’accoglienza, della diversità,
dell’aggregazione e della coesistenza.
I lavori esposti nella mostra intitolata Settantadue ore a Palermo, curata da Anna Maiorano e Marilena
Pecoraro, allestita nel suggestivo spazio barocco dell’ex-Oratorio di Santo
Stefano Protomartire, sono il frutto di questa esperienza conoscitiva ed
estetica compiuta, in particolare, da quattro studentesse: Antonia Parente e
Alessia Liberati, italiane, e Yang Liufei e Wei Lan, cinesi. Tutte e quattro le
giovani artiste frequentano il Corso di Decorazione – Arte Ambientale e
Linguaggi Sperimentali dell’Accademia di Belle Arti di Roma, tenuto da Anna
Maiorano, e nei loro lavori le sollecitazioni visive e ambientali ricevute a
Palermo si sono fuse con l’esperienza fatta nell’ambito di un più ampio progetto
di ricerca, svolto all’interno dello stesso corso, sul tema dell’accoglienza e
del dono, che ha incluso anche una visita al Centro Astalli di Roma per
l’accoglienza dei rifugiati in Italia.
Centrali nella mostra appaiono dunque i temi del viaggio, della
fragilità, dell’accoglienza, declinati in vario modo a seconda delle diverse
sensibilità individuali. Tutti i lavori sono stati realizzati per l’occasione e
sono il frutto di tale esperienza.
Wei Lan ha realizzato un
video, dal titolo 72 ore Palermo (2018),
con propri filmati e in parte utilizzando le immagini fornite dai
partecipanti, che documenta in modo
corale i momenti del viaggio di studio compiuto a Palermo da un gruppo di
studentesse e di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Il gruppo era
formato da studentesse e da studenti provenienti da varie parti d’Italia, ed
inoltre dall’Iran e dalla Repubblica Popolare Cinese. Il video restituisce
dunque un’affascinante costellazione di sguardi sulla città di Palermo.
Antonia Parente ha realizzato
un’installazione site-specific dal titolo Empatia
(2018) che occupa buona parte del pavimento dell’ex-Oratorio di Santo
Stefano Protomartire, trasformato attraverso una pellicola adesiva specchiante in
una superficie riflettente di circa venti metri quadrati. La giovane artista
pugliese ha tratto ispirazione per il suo intervento dal lavoro 32 metri quadrati di mare circa (1967) di
Pino Pascali, un’opera divenuta ormai un’icona assoluta del Mare. Sulla
superficie specchiante Antonia Parente ha sparpagliato alcune magliette bianche
da adulto e altre rosse da bambino, per ricordare col bianco l’innocenza di
quanti affrontano la pericolosa traversata del Mediterraneo, ma non ce la
fanno, e col rosso tutti i bambini vittime della tragedia, ai quali le madri
fanno indossare proprio questo colore nella speranza di renderli più visibili
in mare. Purtroppo questo non basta a salvarli, come testimonia la terribile
vicenda del piccolo Aylan Kurdi, morto annegato nel 2015 nel vano tentativo di
raggiungere l’Europa con la famiglia e ritrovato senza vita sulla spiaggia
turca di Bodrum. Alcune parole scritte sulla superficie specchiante
(accoglienza, incontro, coesistenza, ospitalità, tra le altre) completano il
lavoro. I visitatori sono a loro volta invitati a specchiarsi, un atto che
favorisce l’empatia e induce a riflettere su se stessi in rapporto agli altri,
e a scrivere sulla superficie un loro pensiero.
Alessia Liberati, autrice del lavoro
intitolato Accogli (2018), è
intervenuta nella nicchia situata sul lato sinistro dell’ex-Oratorio di Santo
Stefano Protomartire dove, al suo interno,
ha sistemato una conchiglia che
reca una perla e al di sotto ha posto altre tre conchiglie di dimensioni
minori. Lei stessa ha realizzato le conchiglie utilizzando il Das. L’intervento
da un lato appare come un omaggio alla grande tradizione decorativa delle
chiese barocche palermitane, dall’altro intende evocare un paesaggio marino e
dunque rimandare al mare, teatro di tante tragedie legate ai migranti. Inoltre
nella visione di Alessia Liberati la perla diviene metafora dei migranti
stessi, che secondo l’artista dovrebbero essere accolti con la stessa gioia con
cui accogliamo un dono della natura portato dal mare. Completa l’intervento un
audio che la giovane artista ha registrato in riva al mare e che restituisce il
rumore dell’acqua e del vento, le voci dei pescatori e dei passanti lungo la
spiaggia.
Yang Liufei è autrice di due
video. Il primo, intitolato Arte Natura
Passo a Palermo (2018), offre un originale racconto del viaggio-studio
compiuto a Palermo adottando un punto di vista ribassato, concentrato quasi
esclusivamente sulla strada percorsa e sui piedi dei partecipanti. Tale scelta
esalta proprio il tema del camminare che, come si è visto, ha caratterizzato
questo viaggio-studio. E anche se forse non sono fonti alle quali la giovane
artista cinese ha direttamente guardato, tuttavia le immagini del video possono
far pensare al celebre dipinto di Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio (1912), oppure a suggestioni
cinematografiche, come il film Gradiva (1978)
di Raymonde Carasco, ispirato all’omonima novella (1903) di Wilhelm Jensen, o
perfino alla nota sequenza cinematografica di Nanni Moretti sulle scarpe nel
film Bianca (1984), dove il
protagonista riflette: «Ogni scarpa una camminata. Ogni camminata una diversa concezione del mondo». L’altro video,
intitolato, Luce (2018), appare
invece come una notturna meditazione, dall’epilogo drammatico, sul tema della
fragilità e della morte. Nel video la protagonista è la stessa giovane artista,
impegnata in un gesto semplice eppure rituale: quello di accendere, una dopo
l’altra, 99 candele.
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Yang Liufei - Luce, 2018 |
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